Condividiamo con piacere un’intervista del periodico “Vox Canonica” al Prof Paolo Palumbo, Associato di Diritto ecclesiastico e Diritto canonico presso l’Università Giustino Fortunato, uno dei curatori del volume dal titolo: “Diritto canonico: persone, comunità, missione” edito da Editoriale Scientifica.
Come si legge nel retro copertina, il volume raccoglie i contributi elaborati sulla base delle riflessioni condivise in occasione delle giornate di studio (18 e 19 dicembre 2023) promosse dall’Università Giustino Fortunato e dal Dipartimento di Diritto canonico della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale di Napoli – Sez. S. Tommaso d’Aquino, con l’obiettivo di celebrare, attraverso una proposta scientifica ampia ed articolata, il quarantesimo anniversario della promulgazione del Codice di Diritto canonico per la Chiesa latina (1983- 2023), seguendo come direttrici le parole: persone, comunità, missione.
Professore, il volume da Lei curato raccoglie i contributi di numerosi docenti ed esperti di diritto canonico, cosa può dirci a questo punto, dei numerosi interventi volti a migliorare e rendere più attuale il CIC?
“Il volume raccoglie 15 contributi di autorevoli docenti e studiosi di diritto canonico e davvero offre una “fotografia” ampia del percorso di riforma e aggiornamento che in questi 40 anni è stato compiuto dal diritto ecclesiale. Gli scritti introduttivi, a firma di Filippo Iannone, Juan Ignacio Arrieta, Paolo Palumbo e Luigi Ortaglio, si concentrano sulle principali modifiche intervenute in questi anni e sulla funzione pastorale e sull’interpretazione sinodale del diritto canonico. Al libro I è dedicato il lavoro di Giorgio Giovanelli; al Libro II i contributi di Massimo Del Pozzo sui diritti dei fedeli, Luigi Sabbarese sui migranti e i marittimi nel diritto ecclesiale e Maria d’Arienzo sulla Costituzione apostolica di riforma della Curia. Spunti di riflessione, in prospettiva sul Libro III sono offerti da Giuseppe D’Angelo mentre il tema dei beni culturali della Chiesa è approfondito da Antonio Foderaro.
Agli interventi pontifici sul Libro IV è rivolto il lavoro di Erasmo Napolitano, mentre ai beni temporali della Chiesa cattolica quello di Ludovica Decimo. Un focus sulla riforma dei delitti contra sextum a danno di minori di età e vulnerabili è offerto da Anna Gianfreda. Infine, alla riforma del processo matrimoniale canonico sono dedicati i contributi di Raffaele Santoro e Mario Ferrante. Il diritto nella Chiesa, come del resto negli Stati – come ricorda S.E. Iannone nel suo articolo – è garanzia di pace e strumento per la conservazione dell’unità, anche se non in senso immobilistico: l’attività legislativa e l’opera giurisprudenziale servono infatti per assicurare il doveroso aggiornamento e per consentire una risposta unitaria al mutare delle circostanze ed all’evolvere delle situazioni. Tuttavia, pur essendo stati numerosi gli interventi sul Codice di diritto canonico, l’azione riformatrice non può dirsi ancora conclusa: il “cantiere” è ancora in corso ed i lavori procedono spediti, anche in ragione della “spinta” sinodale.
Guardando il Codice di quarant’anni fa e quello di oggi, dopo le numerose modifiche che lo hanno interessato, si potrebbe essere tentati di affermare che ci si trovi davanti “un altro” diritto canonico. È una tentazione da evitare. È, infatti, «l’ermeneutica della riforma, del rinnovamento nella continuità», come chiarito da Benedetto XVI già a proposito del Concilio Ecumenico Vaticano II, l’interpretazione da dare a questo lungo periodo di riforma. Da diverse parti giungono critiche sulle modalità e gli strumenti che il Legislatore, a volte, ha utilizzato per realizzare interventi modificativi o sul disorientamento che a volte ne è disceso, ma il quadro generale nel quale studiare e comprendere tutti i cambiamenti resta quello appena ricordato”.
Qual è stata a suo avviso la riforma più corposa che ha interessato il CIC dopo l’83, ne ha mutato la struttura?
“Certamente la riforma del processo per la dichiarazione di nullità del matrimonio del 15 agosto 2015, che ha determinato l’integrale sostituzione dei cann.1671-1691 del CIC, con le numerose novità introdotte, ha “dato corpo” ad una vera “rifondazione” della dinamica dei processi matrimoniali – laddove la riforma è stata applicata correttamente e senza personalismi – modificando le strutture della Giustizia ecclesiale e portando, anno dopo anno, ad una “conversione” anche degli operatori della Giustizia.
Più recentemente la promulgazione del nuovo Libro VI del Codice di Diritto Canonico (cann. 1311-1399) del 23 maggio 2021, riformando il diritto penale della Chiesa latina, ne ha ricentrato il ruolo e aggiornato le norme ai cambiamenti sociali e alle nuove esigenze del Popolo di Dio, ammettendosi l’errore, causa di molti danni, di non aver percepito come Chiesa l’intimo rapporto esistente tra l’esercizio della carità e il ricorso alla disciplina sanzionatoria.
Ritengo, però, che un ruolo specifico lo abbia e lo avranno le riforme che hanno interessato gli studi del diritto canonico (da ultimo, Gli studi di Diritto Canonico alla luce della riforma del processo matrimoniale del 2018) che vanno tutte nella direzione – ancora da imboccare in modo deciso – di una maggiore interazione tra il sapere teologico e quello giuridico, di una responsabilità “giuridica” condivisa in tutto il Popolo di Dio ed a tutti i livelli, di una diffusione capillare dell’insegnamento e dell’importanza della conoscenza del diritto canonico”.
A suo avviso, sarebbe necessario qualche altro intervento al Codice, come auspicato nel documento conclusivo della prima sessione del Sinodo o non ne ravvisa la necessità?
“Il Sinodo auspica una revisione generale dei due Codici della Chiesa. I tanti interventi che i questi anni si sono succeduti, richiedono una revisione più ampia, anche per armonizzare quelle parti dei Codici che risultano ormai superate o incongruenti quanto per integrare nel CIC quelle più attuali questioni di rilevanza giuridico-normativa che investono anche l’esperienza del fedele e della Chiesa, anche sotto il versante della sinodalità.
Ma l’intervento principale resta quello su quanti sono chiamati ad interpretare ed applicare le norme che, come ricorda S.E. Arrieta nel suo articolo, non possono limitarsi unicamente a estrarre, quasi matematicamente, le conseguenze a partire dalla letteralità dei testi, quanto, piuttosto, devono mantenere in continuazione un confronto di adeguamento della norma scritta con la giustizia che la situazione concreta richiede, avendo competenze ed “apertura di mente” per saper adoperare tutte le possibilità che il diritto della Chiesa pone nelle mani.
Lo ricorda lo stesso Papa Francesco: “Farsi pastorale non significa che le norme vadano messe da parte e ci si orienti come si vuole, ma che nell’applicarle bisogna far sì che i Christifideles vi trovino la presenza di Gesù misericordioso, che non condanna, bensì esorta a non peccare più perché dà la grazia (Gv 8,11)””.
Dalla promulgazione del Codice dell’83, tre sono i Pontefici che ne hanno usufruito; Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco, chi dei tre è intervenuto di più sul CIC?
“In 11 anni di Pontificato, Francesco ha compiuto molti più interventi sul diritto ecclesiale di quelli dei suoi ultimi predecessori. La riforma dei processi di nullità del matrimonio, della Curia Romana e quella penale (in linea con l’impegno della Chiesa cattolica per la tutela dei minori), investendo ambiti e settori centrali e consistenti della vita della Chiesa, restituiscono il senso e l’importanza dell’azione riformatrice di Francesco.
La ratio di tali interventi, come ha ricordato lo stesso Pontefice, è il rafforzamento sia del nesso tra diritto canonico e missione quanto del contributo del diritto all’evangelizzazione. In linea con alcuni capisaldi del suo magistero, anche il diritto canonico deve lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati, sopportando situazioni difficili e avverse, prefrendo la dimensione del tempo a quella dello spazio, la realizzazione di processi più che il possesso di spazi.
Ma attenzione, tutte le volte che si è ritenuto che disarticolare la dimensione giuridica della Chiesa avrebbe potuto favorire una migliore penetrazione nell’uomo e nell’umanità, ci si è ritrovati “a doversi leccare le ferite”; ogni volta che la misericordia è stata incarnata come sganciata dalla giustizia, ci si è resi conto che la via pastoralis stava conducendo “fuori strada”; quando l’attenzione ecclesiale si è concentrata unicamente sui “tralci” dimenticando le “radici della vite”, si è obliata la indissolubile relazione tra legge e struttura sacramentale della Chiesa; in sintesi, tutte le volte che si è ritenuto che ubi societas ibi non est ius o che la risposta giuridica potesse prescindere dalla realtà teologica (non solo religiosa) della Chiesa, si è dovuto correre ai ripari e riconoscere che era “peggio il taccone del buco”, ricredendosi anche sulla ritenuta inattualità della relazione/sinergia tra auctoritas (legislatore) e ratio (dottrina)”.
Vox Canonica