Condividiamo con piacere l’articolo redatto da Alex Giordano – Professore di Economia e Gestione delle Imprese, Università Giustino Fortunato e pubblicato su Il Sole 24 ore.
Nonostante gli allarmi che gli scienziati stanno lanciando da anni riguardo gli effetti dei nostri stili di vita sull’ambiente e sul clima, non siamo stati capaci di programmare e realizzare i cambiamenti che servono, principalmente perché si tratta di ripensare, complessivamente, il nostro modello di produzione-distribuzione-consumo, a partire dal cibo.
L’Europa nel 2019 ha disegnato il Green New Deal, un programma di riforme chiaro e declinato nei diversi ambiti di applicazione tra cui l’agricoltura con la strategia Farm to Fork, dove si prevedono diversi cambiamenti e varie modalità di supporto per rendere possibile la transizione ecologica. Si tratta di un cambiamento radicale che, ovviamente, produce squilibri nel sistema degli interessi e fa ricadere molti dei costi -diretti e indiretti- sull’anello debole della catena della produzione alimentare: i piccoli produttori agricoli cioè la stragrande maggioranza delle aziende agricole europee.
Le proteste degli agricoltori europei ci aiutano a cogliere l’insostenibilità economica della transizione ecologica soprattutto per i piccoli agricoltori e mette al centro un conflitto di classe – mondiale – tra i grandi attori del mercato e tanti piccoli agricoltori che non hanno la capacità di negoziare le logiche del mercato stesso e la redistribuzione del valore prodotto. Vale la pena ribadire che lo sviluppo industriale dell’agricoltura, che è l’orizzonte che stiamo intravedendo davanti a noi, sta facendo male al Pianeta, almeno così come è pensato adesso.
Siamo quindi di fronte alla crisi di due modelli: quello rurale, economicamente insostenibile, e quello dell’agricoltura industriale, insostenibile dal punto di vista ambientale.
Questa crisi rilancia una sfida che, a regole date, non può essere affrontata né dai singoli imprenditori, né da un singolo Paese e nemmeno solamente dall’Europa. Da anni con la task force Rural Hack, accompagniamo le imprese agroalimentari verso la transizione digitale e in questi giorni di protesta più volte ci è stato chiesto come le tecnologie innovative possano risolvere il problema.
Per ragionare sul tema abbiamo pubblicato in questi giorni un instant book. Ma arriviamo subito al punto: in questo caso le tecnologie, anche quelle 4.0, da sole non sono sufficienti: possono essere alleate che favoriscono la custodia del suolo, la tutela della biodiversità, la riduzione degli input in campo, la produzione di cibo sano e salutare, le garanzie per i lavoratori e la dignità delle persone. Inoltre, la creazione di piattaforme di condivisione dei dati può consentire di ricavare da questo nuovo petrolio una ricchezza condivisa e impatti positivi sull’ambiente e sui sistemi sociali. I Big Data prodotti dai diversi attori di uno stesso territorio, potrebbero essere utilizzate a fini vari: per creare servizi di supporto/consulenza ai singoli agricoltori e al sistema degli agricoltori che si trovano su uno stesso territorio; per facilitare le decisioni degli agricoltori rispetto a scelte da applicare per la produzione, la trasformazione, la vendita; per supportare i processi decisionali degli attori pubblici a vantaggio delle innovazioni sostenibili; per creare percorsi di sensibilizzazione, formazione e conoscenza per gli agricoltori ecc.
Ma le tecnologie ci possono aiutare solo fino a un certo punto perché, per quanto disruptive, non sono in grado da sole di smontare dinamiche socio-economiche che affondano la loro esistenza in importanti e diffusi interessi che, anzi, per il momento sono favoriti proprio dall’uso e dalla disseminazione delle tecnologie stesse. A oggi, cambiare il sistema produttivo verso una produzione più ecologica, ha effetti diretti sulle possibilità di guadagno degli agricoltori medio-piccoli che non possono sopportare i maggiori costi che devono affrontare a causa dei cambiamenti climatici, della riduzione delle rese e dei bassi prezzi. Se non troveremo il modo di riportare al centro del valore il prodotto (la sua qualità, i suoi impatti sull’ambiente, il rispetto per chi lo produce, la capacità da parte dei consumatori di saper discernere) non faremo altro che peggiorare le due crisi indicate sopra con conseguenze che non possiamo e soprattutto non vogliamo immaginare.
Tocca darsi una mossa, siamo pericolosamente in ritardo.
Qui è possibile scaricare gratis l’instant book “Non c’é transizione senza conflitto: le diverse posizioni nelle proteste degli agricoltori, verso un Foodsytem 5.0”
https://www.ruralhack.