LE IMPRESE ITALIANE GODONO DI BUONA SALUTE

All’UniFortunato valutato l’impatto del nuovo codice della crisi sull’economia reale

Le imprese italiane nel complesso godono di buona salute; le 220.000 con ricavi superiori a 500 mila euro, nel 2017 hanno generato 2500 miliardi di ricavi e margini pari a 217 miliardi (8.7%). Di queste solo 656 (0,3%) lo scorso anno sono andate in default, cioè hanno depositato la procedura concorsuale o fallimentare. Questi ed altri dati sono stati presentati nella giornata conclusiva del corso di alta formazione in ‘Diritto delle crisi di impresa’ dell’Università Giustino Fortunato, dedicata all’Osservatorio dei Giudici e agli Indicatori della crisi, da cui deve partire l’attivazione degli strumenti d’allerta introdotti dal Codice della Crisi d’impresa.

I dati sono stati estrapolati dallo studio realizzato dalla Leanus – società specializzata nell’analisi e nella valutazione di dati di impresa – redatto analizzando 221.834 bilanci di imprese italiane con ricavi superiori a 500 mila euro. Di queste solo il 3% (circa 6mila) ha fatto registrare ricavi 2017 superiori a 50milioni di euro, mentre il restante 97% ha registrato ricavi compresi tra i 500mila e i 50milioni di euro. Dallo studio, la cui presentazione presso l’UniFortunato ha avuto come finalità quella di valutare l’impatto del nuovo codice della crisi sull’economia reale,  emerge una fotografia rassicurante del sistema imprenditoriale italiano che, nel suo complesso, appare in  buona salute; perché a fronte di quasi 500miliardi di euro di debiti del sistema finanziario italiano, nel 2017 le aziende (ultimo dato di bilancio al momento disponibile) hanno generato margini operativi (o Ebitdsa) pari a 217milioni di euro.

“Questo significa che teoricamente sarebbero in grado di ripagare i debiti contratti verso le banche in due anni e mezzo”, ha detto Alessandro Fischetti, Ceo della Leanus. Le aziende che nel 2017 sono andate in default, cioè hanno depositato la procedura concorsuale o fallimentare, sono concentrate equamente in tutto il Paese, con al primo posto la Toscana (109) seguita da Lazio (93), Emilia Romagna (77), Lombardia (69), Veneto (58), Campania (43), Puglia (32), Sicilia (32), Marche (31), Piemonte (27). Questi default del 2017 hanno generato complessivamente quasi 9 miliardi di debiti, di cui 2,5 verso il sistema Bancario, 2.3 verso i fornitori, 4.2 verso fisco, previdenza ed altri, mettendo a rischio oltre 32.000 posti di lavoro. Il 48% del totale debiti delle imprese in default riguardano però le imprese con ricavi maggiori di 50 milioni di Euro, quelle escluse dai provvedimenti previsti dal nuovo codice della crisi.

Secondo lo studio, nella maggior parte dei casi (54%) i segnali erano chiari ed evidenti già a partire dal 2016. Ciononostante, ha continuato Fischetti “non è scattata una procedura di allerta che avrebbe potuto scrivere una storia diversa per alcuni creditori e per alcune imprese”. Ben vengano quindi interventi mirati all’emersione precoce della crisi, quando è ancora possibile intervenire per il rilancio aziendale. L’efficacia di tale principio, ampiamente previsto nel nuovo codice della crisi, dipenderà dalla capacità di introdurre adeguati sistemi di allerta basati su metodologie efficaci che solo raramente facciano scattare “falsi allarmi”.

Al momento i risultati dell’analisi e delle simulazioni condotte da Leanus sembrerebbero dimostrare il contrario. Addirittura il 50% del totale delle Piccole e Medio Imprese potrebbe dover fare i conti con una procedura di allerta. Di conseguenza sarà cruciale il risultato del lavoro della commissione nazionale dei commercialisti, chiamata ad individuare i giusti Indicatori della Crisi per monitorare lo stato di salute delle imprese, indicatori che dovranno essere utilizzati da tutte le PMI a partire dal 2020. “Nello stesso tempo – ha osservato la professoressa Stefania Pacchi, coordinatrice del corso in Diritto delle crisi di impresa dell’UniFortunato e ordinario di diritto commerciale presso l’Università di Siena – è cruciale la prudente selezione degli Indicatori perché si debbono, da un lato, aiutare le imprese con effettive criticità, che potrebbero fondamentalmente tracimare in insolvenza, ad accedere tempestivamente a un percorso di composizione /selezione della crisi e dall’altro evitare in ogni modo di sospingere verso la concorsualità imprese che non lasciano ancora intravedere quella previsione avversa”.

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